FINALMENTE UN TEST EFFICACE
I pre-test tradizionali
Nei pre-test tradizionali persone vengono esposte al messaggio pubblicitario e si cerca di capire quali effetti questo ha prodotto in loro. Solitamente si conducono indagini qualitative su poche persone o quantitative su un campione che dovrebbe rappresentare la popolazione target. Si usano focus group, interviste, questionari, ma a volte si ricorre a tecniche particolari (la registrazione dei movimenti oculari, del diametro pupillare, ecc.), che danno la suggestione della scientificità.
Sembra tutto molto sensato: se vogliamo sapere quali effetti il messaggio produce, non c'è che da andare a condurre indagini sui riceventi. Eppure non è così: i copy test tradizionali hanno seri limiti e non ci consentono di prevedere quali effetti il nostro messaggio produrrà nella realtà, quando arriverà al pubblico.
I loro limiti
I pre-test tradizionali sono impostati ancora secondo la concezione degli studi sulla persuasione della prima metà del Novecento, che la ricerca successiva ha sconvolto. Si pensava che la persuasione fosse un processo meccanico, con le sue regole. Così, se conosciamo fonte, messaggio, canali e tipologia di riceventi, possiamo prevedere gli effetti che produrremo.
Dagli anni '70 ci si è resi conto che le cose non sono così semplici, perché tutto dipende da come il ricevente elabora il messaggio. Quel che gli arriva è solo uno stimolo, che può produrre in lui effetti diversi a seconda di come l'elabora. Se uno elabora in un modo o nell'altro dipende da un intreccio di fattori personali e situazionali. Quando lanciamo un messaggio, dobbiamo aspettarci una varietà di effetti diversi sui riceventi, a seconda di come in quel momento lo elaborano.
Il salto
Negli ultimi decenni la ricerca ha fatto importanti passi avanti nello studio dell'elaborazione soggettiva. Disponiamo di modelli che ci consentono di classificare i tipi di elaborazione e di distinguerli per caratteristiche cognitive e effetti prodotti. L'elaborazione soggettiva dei messaggi non è più qualcosa di vago, possiamo analizzarla con l'accuratezza necessaria a prevedere certi effetti dei messaggi.
Tuttavia in questi anni conoscenze così cariche di risvolti applicativi sono rimaste confinate nell'ambito della ricerca scientifica. Sono stati condotti studi che hanno portato a conclusioni pratiche, ma è mancato un lavoro sistematico teso a mettere a punto nuovi pre-test pubblicitari, al passo con i tempi ed efficaci.
Oggi questo lavoro è stato fatto, il salto c'è stato e disponiamo dell'Advertising Elaboration Test.
Steve Mckee non aveva torto
In un articolo del 2007, Beware the advertising pretest, mette in guardia dal basarsi sui pre-test. Nota che campagne di successo non li hanno superati e che non sono in grado di prevedere come andranno le cose nel mondo reale. Riconosce che sarebbero decisamente utili, a patto che la metodologia scientifica fosse arrivata a svilupparne di adeguati. Proprio questo è il punto: i pre-test che ha in mente lui sono quelli tradizionali, che indubbiamente hanno seri limiti. La scienza lo ha dimostrato da tempo. Mckee da esperto di marketing l'ha colto.
La fine di un sogno
Nella prima metà del Novecento l'idea che la persuasione sia un processo meccanico ha alimentato un sogno: riuscire a scoprire le regole del meccanismo e ricavarne indicazioni precise per propagande e campagne pubblicitarie.
Animata da questo sogno, la scuola di Yale ha condotte ricerche rigorose, con risultati in parte ancora interessanti.
Quando abbiamo scoperto che tutto dipende da come elabora il ricevente, il sogno è finito. Era un'illusione. Meglio sapere che nella realtà la persuasione funziona in modo più fluido e complesso.