top of page

Apertura dei lavori

Il Rettore Dino Mastrocola sottolinea l’importanza del convegno come finestra di contatto con il mondo produttivo e delle professioni e l’importanza della terza missione (integrare ricerca e didattica con promozione dello sviluppo), che a volte gli Atenei stentano a mettere in atto. In tutto questo la formazione, magari permanente, ha per il Rettore un ruolo importante.

 

Gianni Gruttadauria, Responsabile Nazionale Promozione e Sviluppo Fondo Fornacom, mette l’accento sul fatto che Fonarcom è un veicolo finanziario e di sostegno alle politiche formative delle aziende, ma che in realtà queste devono essere il risultato di una corretta analisi dei fabbisogni formativi. I fabbisogni sono spesso latenti specie nelle imprese più piccole. Occorre farli emergere con adeguati studi, che l’Università può fare, così da delimitare margini di intervento con l’obiettivo di rilanciare l’economia del territorio e favorire l’occupazione. La formazione continua e il trasferimento di competenze effettivamente utili sono valori fondamentali del fondo Fonarcom e la sfida di fare emergere fabbisogni formativi va raccolta.

 

Alex Vatalakis, Coordinatore Regionale Lazio CIFA Italia, parte sociale del fondo Fonarcom, chiarisce che la formazione è un investimento e come tutti gli investimenti deve avere un tornaconto. Per aprire la porta occorre però una chiave e la chiave è proprio il tema del convegno:  far emergere i fabbisogni formativi latenti.

Due spunti di riflessione

Maria Angela Perito, professoressa dell’Università di Teramo, parla di innovazione nell’agroalimentare in Abruzzo. Il lavoro che presenta al convegno è frutto di una collaborazione tra l’Ateneo e il Polo AGIRE, in particolare tra lei e il dottor Nicola Casolani. Già nel 1998 uno studio individuava come alcuni territori sono naturalmente accoglienti per l’innovazione e altri invece, per motivi culturali, storici, sociali e politici sono respingenti e fungono da barriere al processo innovativo. 

Lo studio da loro condotto è in progress. Ad un campione di aziende agroalimentari del Polo AGIRE, è stato somministrato un questionario sulle innovazioni. Tra gli elementi emersi c’è un fatto interessante. Alla domanda “Dove prendete le risorse?”, la risposta è stata “Per autofinanziamento”. Questo suggerisce che la formazione, oltre che aiutare a conoscere le innovazioni tecnologiche, dovrebbe favorire la capacità di capire dove sono i fondi e come intercettarli, così da consentire alle aziende di stare sul mercato.

 

Adolfo Braga, professore dell’Università di Teramo, interviene su “Essere in anticipo nell’analisi dei fabbisogni formativi”. In che senso essere in anticipo nell’analisi dei fabbisogni? Bisogna proiettare l’analisi nel medio periodo o anche oltre, perché c’è un grado di invecchiamento delle competenze incredibile, proprio dovuto all’innovazione. 

Bisogna decidere dove il mercato sta chiedendo altro rispetto al passato e dove bisogna fare invece una sana manutenzione delle competenze acquisite. E’ importante non limitarsi agli aspetti contingenti, non concentrarsi solo sulle criticità del momento: ora risolvo questa criticità e sono a posto. Non è sempre così.
Noi dobbiamo in qualche modo capire il rapporto di sudditanza della formazione alle domande emergenti delle imprese. Bisogna evitare di partire da convinzioni del genere: “ho capito tutto, io ora ti do le chiavi di lettura e le competenze giuste”. 

Il processo è più complicato. Chi chiede o eroga formazione, deve avere chiaro qual è la domanda reale. Questo è un punto di vista nuovo, su cui ancora i contratti collettivi non sono molto in sintonia. Perché? Si tende a ragionare in termini di competenze stabilite a priori. Ci aiutano a capire meglio il problema le classificazioni di un tempo. Nei vecchi contratti venivano chiamate le “declaratorie professionali”: per fare questo lavoro devi avere questo elenco di competenze. Quando poi una persona si inserisce nel contesto organizzativo, quando lo conosce trasversalmente, entra in sintonia con altre competenze, quando c’è la contaminazione tra vecchie generazioni e nuove, l’idea che tutto è scontato entra in crisi.
Il lavoro cambia e naturalmente non bastano più i titoli di studio. L’abbiamo vissuto  nell’Università. La riforma può piacere o non piacere, ma l’idea era in qualche modo dar spazio alle competenze trasversali. Quelle che uno si porta dietro e si sviluppano anche attraverso gli hobby, se opportunamente stimolate possono allargare la propria dimensione cognitiva rispetto alle nuove esigenze e conoscenze.

Tavola rotonda

Alfonso Orfanelli, Presidente AIDP Abruzzo e Molise, sottolinea che l’AIDP si occupa della figura della persona all’interno delle organizzazioni, e quindi di gestire tutto quello che va oltre l’amministrazione del personale. Per loro è molto importante dare valore a questo attraverso sia momenti d’incontro, sia  eventi sul territorio, dove ci si confronta sulle buone pratiche che possono venire da realtà diverse, comprese le multinazionali. E proprio grazie a queste buone pratiche che il tessuto della piccola e media impresa, presente nelle nostre regioni, può diventare un bacino importante di sviluppo. 

La collaborazione col mondo accademico, in questo contesto, è divenuta sempre più significativa. Perciò ha accolto con interesse la proposta del professor Di Giovanni. L’AIDP, continua Orfanelli, porta sul campo l’esigenza del territorio: dotare le aziende di giovani di valore, da poter crescere e da poter introdurre nel migliore dei modi nel mondo aziendale. Cerca però anche di ridurre quel gap tra il mondo reale e il mondo teorico che sappiamo esserci, senza nulla togliere al valore che le nostre Università riescono a trasmettere ai nostri giovani. Ecco perché una realtà come l’AIDP si mette a disposizione per ciò che si può fare assieme nel campo della formazione.

Florio Corneli, Presidente Federmanager Abruzzo e Molise, lancia l’idea di un laboratorio della formazione da portare avanti assieme, con il coordinamento scientifico dell’Università di Teramo. Fa presente che l’Università di Teramo con questo convegno ha messo in evidenza un punto importante: il vero problema non è la formazione ma l’analisi dei fabbisogni formativi, qualcosa che viene prima della formazione. Su questo - dice - potremo lavorare insieme, incontrarci e collaborare col supporto scientifico dell’Università. Rilevare i fabbisogni formativi prima di far partire le formazioni è essenziale. Anche nel caso dell’impresa 4.0 non possiamo dare per scontato che cosa occorre. Le esigenze possono essere molto diverse caso per caso e vanno analizzate. Cominciamo a fare ricerca nelle aziende e confrontiamoci su quel che emerge.

 

Giammaria De Paulis, Presidente Giovani Imprenditori Confindustria Abruzzo, inizia dicendo che la formazione è benvenuta, purché sia traversale. La ragione è ovvia: siamo in un mercato veloce. Il mondo cambia rapidamente e se non si è rapidi si resta indietro. Occorre essere veloci nel capire i fabbisogni formativi. Magari si potrebbero inserire moduli di formazione per imparare ad autovalutarsi e analizzare i propri fabbisogni formativi. La formazione può aiutare a creare una cultura che porti a orientarsi verso mercati internazionali anche le piccole imprese. Il problema qui è culturale. Ricorda come nella sua esperienza ha ricevuto richieste di ecommerce da imprese che non avevano chiaro cosa c’è dietro. Attraverso la formazione si può creare una cultura che porti anche le imprese più piccole a pensare e operare in ottica internazionale.

 

Salvatore Vigorini, Presidente Centro Studi “Incontra”, spiega che “Incontra” sta per innovazione, contrattazione e partecipazione e che il Centro Studi nasce con la specifica intenzione di affrontare i temi in discussione nel convegno. Precisa che lo fa con una logica di coinvolgimento, mettendo assieme associazioni, università, parti sociali, mondo delle professioni. Il problema dei fabbisogni formativi, a suo avviso, è assai complesso. Oggi il modello va totalmente ridisegnato. Ci siamo concentrati -nota- sull’impatto dell’industria 4.0, che è sicuramente considerevole. I cambiamenti però sono in evoluzione e portano, tra le altre cose, al fatto che il lavoratore non potrà più contare sul posto fisso.  Questo può essere letto in positivo: il lavoratore sarà così tanto professionalizzato che passerà da un progetto all’altro, all’interno della stessa azienda o spostandosi in aziende diverse. Porta un dato: il 38,8% della richiesta di lavoro delle aziende resta inevaso e il 20% di questa richiesta inevasa è dovuto al fatto che non c’è rispondenza tra domanda e offerta. Evidentemente abbiamo un problema di formazione dei giovani in vista dell’ingresso nel mondo del lavoro. C’è poi il problema della formazione degli adulti: solo l’8,3% degli adulti fa formazione. Interessante il fatto che fanno più formazione gli inoccupati rispetto ai disoccupati: chi resta senza lavoro non fa formazione in vista del reinserimento. Oggi occorre un dialogo costante tra imprese ed istituzioni formative per risolvere i problemi che abbiamo. I percorsi formativi vanno programmati assieme, soprattutto a livello territoriale.

Giuseppe Finocchietti, Direttore Risorse Umane TUA, porta l’esperienza del progetto in atto in azienda con la collaborazione dell’Università di Teramo. Il progetto si basa sul principio che occorre conoscere i problemi reali e lasciarsi alle spalle l’atteggiamento di presumere di conoscerli e attuare soluzioni standard predefinite. In questo proprio il mondo dell’Università, che per sua natura ha l’approccio della ricerca, può aiutare. 

In un’azienda -dice- l’analisi dei fabbisogni formativi somiglia un po’ ad una tela di Penelope: si pensa di essere arrivati a capire e ci si accorge di essere di nuovo punto e a capo. Il progetto che la TUA sta portando avanti riguarda la figura principale di questa azienda di servizi, quella dell’autista. Il progetto punta a scoprire, col supporto dell’Università, una fotografia del disagio degli autisti urbani e a cercare di capire dove ha le sue radici, così da predisporre un’offerta formativa adeguata e intervenire con efficacia. Conclude dicendo: ci ritroviamo in questi contesti a parlare spesso di queste cose ma occorre andare più a fondo. Perciò colgo l’invito del Presidente di Federmanager di creare un laboratorio della formazione e fare rete. L’università, che per sua vocazione ha questo tipo di approccio, ci può essere utile.

 

Simona La Civita, Responsabile Risorse Umane TUA, illustra il progetto portato avanti assieme all’Università di Teramo e coordinato dal professor Di Giovanni. Si potrebbe definire una analisi di clima e dello stress lavoro correlato dei conducenti urbani. L’intenzione però è di andare oltre. Ci saranno inizialmente incontri di sensibilizzazione con referenti aziendali e poi con tutti i conducenti urbani. Ci saranno poi focus group per analizzare le esperienze dei lavoratori interessati, dialogando e confrontandosi. Poi la somministrazione di test metrici, che avverrà nel corso della formazione, consentirà di fotografare la situazione. Il passo successivo sarà cercare di capire come migliorare le condizioni dei conducenti. Sarà un viaggio che l’azienda farà assieme a loro. L’azienda si augura due ritorni importanti: indicazioni per un miglioramento organizzativo, sui fabbisogni formativi e un ritorno motivazionale che faccia sentire il personale più partecipe, attore in azienda. I conducenti sono alle volte un po’ lontani e renderli partecipi è importante. Si augura che ci siano futuri incontri dove raccontare gli esiti del lavoro.

 

Barbara Alessandrini, Responsabile del Centro Internazionale per la Formazione e la Informazione Veterinaria dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Abruzzo e del Molise, presenta lo Zooprofilattico Sperimentale dell’Abruzzo e del Molise illustrandone le principali attività, a livello locale, nazionale ed internazionale. Fa presente che occuparsi dei bisogni latenti è la parte più difficile del lavoro di formazione. Lo Zooprofilattico fa per questo rilevazioni online internamente su tutto il personale e all’esterno per altri soggetti. Porta l’esempio di una rilevazione fatta sui veterinari ufficiali inseriti nel sistema di gestione delle emergenze non epidemiche. Dal terremoto de L’Aquila l’Istituto ha avuto il coordinamento dell’azione veterinaria ed è divenuto un interlocutore del Ministero della Salute. Precisa come la rilevazione fatta sui veterinari è andata a cercare di capire i bisogni formativi inespressi. I risultati dell’indagine hanno consentito di redigere un rapporto e presentare al Ministero un piano formativo da implementare nei prossimi anni.

 

Donatoantonio De Falcis, Amministratore Delegato del Polo “Agire”, fa presente che il problema chiave è l’innovazione. Non esiste impresa che possa fare a meno di prendere coscienza del problema dell’innovazione e adeguare le formazioni. Il compito dei poli di innovazione è proprio favorire l’innovazione assieme alle Università e agli Istituti di ricerca. Richiama il lavoro svolto assieme alla professoressa Perito, teso proprio a rilevare i fabbisogni formativi delle imprese agroalimentari. Siamo abituati -dice- nell’agroalimentare ad avere a che fare con i bisogni formativi latenti, perché non esiste di solito un sistema di rilevazione. Sottolinea che le imprese hanno bisogno di essere supportate nell’innovazione. C’è una innovazione da supermercato, che si acquista, ma la più interessante è quella che viene concepita all’interno dell’impresa, progettata e sviluppata nell’azienda. Evidenzia che ci sono molte imprese che non hanno un settore di ricerca e sviluppo e non possiamo lasciarle fuori dal processo innovativo. 

Carmine Marino, Responsabile Marketing Sangritana, ricorda la storia della sua azienda che ha avuto uno sviluppo particolare, da una gestione ministeriale fino a divenire società per azioni, “costola” di TUA. Dice che del convegno le paroline magiche sono le prime due: “fare emergere”. 

Per fare emergere i fabbisogni formativi occorre mettersi a confronto. Dice di essere rimasto colpito dall’intervento del Presidente di Federmanger che ha proposto di creare un laboratorio di formazione. Accanto al laboratorio, ritiene importante il rapporto con l’utenza e fare colloqui in profondità con il personale, mettendolo a proprio agio e facendo in modo che si esprima. Questo è un modo di valorizzare il personale, specie quello di prima linea, che ha rapporto con l’utenza. Riprende l’intervento di Giammaria De Paulis e sostiene che in Italia più che una crisi economia, abbiamo una crisi culturale. Per cambiare la cultura, la chiave di volta è capire come fare formazione in vista di una ristrutturazione aziendale.

 

Franco Damiani, Presidente ATSC, fa presente che la categoria degli agenti di commercio e consulenti finanziari, da lui rappresentata nel convegno, in Italia è formata da circa 240 mila persone. Ha un ruolo importante dato che non basta avere un buon prodotto per entrare nel mercato. La mission dell’associazione comprende anche la qualificazione di questa figura. Ricorda poi l’esperienza fatta con l’Università di Teramo. Nel 2013 è partita una iniziativa tesa a offrire agli agenti di commercio lauree per la loro specifica formazione. C'è stato un numero significativo di iscrizioni e le ricadute positive sono ormai evidenti, non solo sulla crescita personale degli agenti ma anche per i benefici che ne hanno nella loro attività professionale e nei rapporti con le aziende mandanti. 

La proposta di Florio Corneli... il laboratorio

Florio Corneli, Presidente di Federmanager Abruzzo e Molise, riprende l’idea di realizzare un laboratorio della formazione. Ritiene importante che ci sia una cabina di regia, che assicuri che si arrivi a conclusioni operative e non ci si limiti a discutere. L’Università è decisiva anche perché occorre metodo nel procedere. I cambiamenti sono rapidi e occorre lavorare continuamente sui fabbisogni formativi. Può fare questo -dice- solo chi ha scienza, sapienza e coscienza.

bottom of page